Roberta Maieli

Roberta Maieli, psicologa e psicoterapeuta

Psicologa e Psicoterapeuta

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Lo sviluppo delle credenze sul cambiamento dei tratti negativi

Un bambino che all’asilo nido, pur essendo il più piccolo e scoordinato di tutti, dichiari che diventerà il prossimo Michael Jordan si si può definire decisamente ottimista. Questo bambino probabilmente percepisce il suo essere più piccolo e scoordinato in confronto agli altri, ma crede possibile un forte cambiamento in futuro. I suoi amici potrebbero alimentare questo sogno, ma i suoi genitori, convinti che sarà sempre piccolo e scoordinato proveranno a dirigerlo in un’altra direzione.

Più i bambini sono piccoli, più questo ottimismo è evidente (gli studi di Bjorklund e Green, 2002 confermano); infatti i bambini dell’asilo nido (meno di 3 anni), sono i più ottimisti nell’immaginare, ad esempio, futuri cambiamenti positivi nelle capacità scolastiche dei loro pari. I bambini sono convinti che, sia in condizioni di normalità che di difficoltà, un comportamento se negativo difficilmente persisterà in futuro.

Crescendo, l’ottimismo nei bambini diminuisce e questo potrebbe rappresentare un vantaggio. Monitorando i propri limiti, infatti i bambini in età scolare possono evitare di investire energie in attività nelle quali riscontrano continui insuccessi (ad esempio pensare di diventare un asso del basket nonostante i continui allenamenti siano molto poco incoraggianti). In questo modo il giovane riesce a conoscere i propri limiti e le predisposizioni, e può così investire le proprie forze in attività che gli diano maggiori soddisfazioni e che possano farlo sentire realizzato.

Inoltre il comportamento degli altri, è visto come derivante da tratti (una serie di caratteristiche strutturanti della personalità più o meno mutabili nel tempo che sono socialmente codificate e hanno un valore culturale), stabili nel tempo e i bambini, si aspettano una solidità maggiore nell’affrontare, da adulti, alcune situazioni e quindi crescendo possono iniziare ad aspettarsi che anche i loro pari, proprio come loro stessi, rispondano alle situazioni in modo più stabile e preordinato.

Gli adulti, infine, percepiscono i tratti come più stabili nel tempo e credono che una volta che li si possiede, soprattutto se negativi (alcune caratteristiche che vengono generalmente riconosciute come “difetti” o “handicap” dalla maggior parte delle persone), sia difficile mutarli. Si può dire che quando le persone crescono sono più stabili forse perché diventano più consapevoli dei meccanismi di cambiamento. La presenza dell’ottimismo nello sviluppo di un bambino è considerato quindi molto importante e l’interesse è così vivo in quanto l’ottimismo agisce in modo profondo sulla motivazione, sulla visione di sé e degli altri e sembra che intervenga anche nell’insorgenza della sindrome depressiva. Una visione positiva di sé porta infatti a pensare alle proprie capacità come suscettibili di miglioramento e permette di affrontare molto meglio le difficoltà, pensando che anche i fallimenti possano essere superati in tempi brevi e con un buon successo.

Una mia ricerca ha preso spunto da un’indagine fatta da un’equipe statunitense guidata dalla dott.ssa Lockhart e coadiuvata da un’indagine trasversale eseguita da colleghi giapponesi. Il confronto oriente-occidente è stato curioso e necessario per capire se la predisposizione a pensare positivamente che caratteristiche negative nel tempo sarebbero sparite o comunque migliorate fosse dovuto a fattori prevalentemente evolutivi o a fattori prevalentemente culturali. Se l’ipotesi corretta fosse stata la prima i soggetti sia americani che giapponesi avrebbero dovuto seguire tutti il trend legato all’età, mentre se l’ipotesi corretta fosse stata la seconda avrebbero dovuto esser presenti differenze tra le due culture in fasce d’età medesime. Si è verificato che in prevalenza i giapponesi erano significativamente più ottimisti degli americani (Nakashima, Lockhart e Inagaki, 2003). Questa significatività è emersa però solo nelle fasce adulte, mentre nelle fasce di bambini compresi tra 3 e 6 anni la quota di ottimismo è stata la medesima in entrambe le culture.

Da questi risultati si è potuto evincere che i bambini piccoli compresi tra 3 e 6 anni hanno un ottimismo innato e pensano che se un loro pari nasce con qualche grave difetto, senza alcun dubbio questo difetto sparirà nel corso del tempo. Mano a mano che i bambini crescono l’ottimismo diminuisce, fino ad essere presente nella fascia degli adulti in modo altalenante, a seconda della cultura nel quale sono cresciuti e delle attitudini personali. Devo sottolineare, comunque, che i bambini piccoli rimangono sempre i più ottimisti in assoluto. È sembrata utile una replica della ricerca americana, con bambini e adulti del nostro paese, perché l’ottimismo fa parte della cultura statunitense e non era affatto scontato ritrovare gli stessi risultati.

Eseguita la ricerca, con alcune doverose varianti, i risultati concordano complessivamente con quelli della ricerca americana, Sono emerse però alcune differenze tra adulti italiani e americani, nella categorizzazione di alcune caratteristiche proposte nel test. Questa differenza suggerisce possibili differenze culturali nella concezione delle caratteristiche soggettive (tratti) tra bambini e adulti di diversa nazionalità. Portando ad esempio un elemento utilizzato nell’iter di testing si può notare come il tratto “lentezza nell’apprendimento” sembra essere ritenuto dagli americani un tratto ibrido (sia psicologico che biologico), che può cambiare nel tempo grazie sia all’impegno dell’individuo che allo sviluppo stesso, e dagli italiani un tratto psicologico, cioè modificabile solo con volontà e impegno, non legato quindi a leggi biologiche.

La ricerca ha messo in evidenza che ci sono differenze sia individuali che tra le età nelle cause attribuite al cambiamento di singoli tratti psicologici, come timidezza, cattiveria, disordine. Anche questo è un tema che merita di essere ripreso in altre ricerche. Infine, alcuni risvolti utili di questa indagine potrebbero essere volti ad evidenziare anche le risorse di ottimismo nei bambini disadattati (ad esempio bambini in attesa di affido) e non solo le loro difficoltà, come invece spesso accade.

 

  

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